21 Novembre 2024


I libri sono compagni da ascoltare poiché nell’essere letti rilasciano segreti, creano dubbi, aprono porte, provano risposte a domande universali. Io che sono sì una scrittrice ma allo stesso tempo una esuberante lettrice, mi rendo conto quanto parte delle storie lette, ma anche raccontate, vengano interiorizzate sotto forma di sensazioni e di emozioni. Le stanze dimenticate di Francesca Letizia Piccione è un libro che lascia una scia interiore pregna di umanità, lascia nel lettore una traccia che oscilla tra la passione e il dolore, tra la volontà di vivere e il desiderio di lasciarsi trasportare dagli eventi. Il titolo ci introduce in un mondo nel quale le stanze sono da ricordare, quindi da aprire e… percorrere. La protagonista, Lia, è figura rappresentativa del dolore e della mancanza dell’amore. Lia ha avuto un’infanzia difficile e un’adolescenza contorta e complicata; da adulta le sue scelte la portano in un andare tortuoso, cadenzato, a intervalli, da incubi che anticipano drammi. Ho scelto di introdurre questa mia con una massima di Ezio Bosso poiché le sue parole si confanno, si allineano, al libro in oggetto. Inoltre, ritengo che, così come Bosso trasportava la platea in un percorso emozionale, Francesca Letizia Piccione, trasporta il lettore in un altrettanto viaggio ricco di emozioni. Ognuno di noi risiede in una casa con delle stanze condivise con gli altri familiari o inquilini, e stanze personali dove potersi chiudere dentro e sentirsi liberi di fermarsi e muoversi; liberi di essere tristi e, magari, di piangere; liberi di cantare e ballare guardandosi allo specchio.

C’è anche chi non ce l’ha una casa, dorme per strada, avvolto nei cartoni o sotto i ponti o dentro una chiesa. Eppure… Ma andiamo per ordine e insieme a voi vorrei analizzare la parola stanza che, per dirla come Ezio Bosso, ha molteplici significati, e tutti di apertura. Stanza proviene da stare. È un luogo in cui riposare e dimorare. È, sì, uno spazio fisico e reale, ma può essere anche un luogo intimo nel quale sostano pensieri, idee ed emozioni. Per accedere a una stanza si dovrà necessariamente aprire una porta: simbolo di passaggio, di movimento e di spiraglio verso l’esterno o l’interno, a seconda della direzione in cui la porta viene aperta. La vicenda che vi apprestate a leggere si svolge a Santa Margherita di Belice e si apre con due episodi drammatici, uno ai danni della figlia di Lia e Gianni, la piccola Sara, che necessita di cure ospedaliere a causa di un mignolo decapitato; l’altro episodio riguarda Lia stessa la quale, in seguito a un grave incidente automobilistico, si ritroverà anche lei in ospedale.

Francesca Letizia Piccione, con tratto scorrevole e incisivo, dispiega una storia tra passato e presente nella quale Lia ripercorre la sua vita. Una vita in cui la violenza è contrapposta all’amore e la mancanza è contrapposta alla pienezza. Emerge lo struggimento che la piccola Lia avverte nello sforzo di accontentare la madre, e la fatica che impiega affinché il padre non si irriti. Durante l’infanzia Lia vive rasente ai muri e cerca di dare meno fastidio possibile ai suoi genitori.

I due sono una coppia con dei problemi evidenti: il padre con dei trascorsi che l’hanno portato a essere violento, la madre affetta da follia e depressione. È nell’infanzia che si formano i tratti caratteriali e l’autrice in questa sua opera rende credibile e reale ogni aspetto caratteriale di Lia, tanto da fare evolvere con naturalezza il passaggio di Lia dall’infanzia all’adolescenza e successivamente al suo essere adulta. Le stanze dimenticate è un romanzo che si snoda tra le aspettative e gli incubi, dove le stanze sono anche luoghi dell’anima e dei sogni. Per Virginia Woolf era fondamentale per le donne del suo tempo, avere “una stanza tutta per sé”. Secondo la scrittrice inglese, infatti, una donna non poteva occuparsi di letteratura se non aveva a disposizione (oltre al denaro) una stanza personale. Questa della Woolf è una metafora che sottolinea quanto anche adesso la libertà sia fondamentale per potere creare arte. Oggi avere una stanza per sé è più che mai necessario e non solo per le donne ma per ogni artista che voglia esplorare il proprio talento ed esternarlo. Nel libro della Piccione le stanze rappresentano il mondo della negazione e la sfera del dolore, sono stanze dalle quali Lia vorrebbe scappare perché non ha la forza, non ha gli strumenti per poterle affrontare. La scrittura di Francesca Letizia è fluida, chiara e scorrevole. Le dinamiche del romanzo sono complesse e credibili, ciò grazie anche al fatto che il romanzo della Piccione è basato su fatti realmente accaduti. Tra i personaggi il marito di Lia, Gianni, occupa un ruolo molto marginale, a differenza del professore Salvo Foscari con il quale Lia, nel passato, ha avuto un incontro d’amore. Le stanze dimenticate è un romanzo che leggerete d’un fiato così come, secondo me, è stato scritto. Se dovessi descriverlo con i colori userei il bianco, il rosso, il verde e il nero: il bianco per la purezza della bambina; il rosso per la passione che impregna ogni parola; il verde per quella nota stonata di violenza che permea il libro; il nero per l’oscurità che la protagonista vive nel presente, ma che ha vissuto anche nel passato a causa dei suoi genitori e non solo. L’autrice apre ogni capitolo con una massima: a pagina 50 al capitolo 9 leggo “Lieve è il dolore che parla. Il grande dolore è muto” di Seneca. Il dolore nelle stanze di Lia invade le pareti e i pavimenti, riveste ogni mobile e ogni colore. Eppure, a tratti arriverà la luce.

Sarà la luce a farsi strada nel groviglio di fili e rimarrà la luce a sostenere il finale che l’autrice ha volutamente lasciato in sospeso. C’è tanto da scoprire tra le pagine de Le stanze dimenticate, io mi sono limitata a stuzzicare la vostra curiosità. Ringrazio Francesca Letizia Piccione per avermi affidato il delicato compito di presentarvi il suo romanzo che è come un taglio causato da un coltello affilato che taglia mani, che taglia cuore, che entra nel profondo e tocca corde emozionali. 

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