3 Dicembre 2024

Qual è stata la tua principale fonte di ispirazione per creare i personaggi di Naomi, Zahara, Gabriel e Mamolu? Sono basati su persone reali o completamente frutto della tua immaginazione?

Per creare i miei personaggi, mi sono ispirata alla mia precedente occupazione. Poco più che ventenne ho iniziato il Servizio Civile Nazionale presso un’associazione di volontariato, nella quale ho insegnato la lingua italiana a bambini e ragazzi stranieri. Per molti anni, nel periodo invernale, ho collaborato con questa organizzazione e nel 2016-2017 ho partecipato attivamente ad un progetto di accoglienza per i rifugiati ed i richiedenti asilo politico.

Durante questo periodo, ho avuto modo di incontrare molti individui provenienti da ogni angolo del pianeta, specialmente donne con i bambini, ed è proprio grazie alle loro esperienze che sono nati i personaggi del mio libro. Nel romanzo, c’è un’ampia dose di finzione, ma devo molto a tutte le persone che ho avuto modo di conoscere in questi anni.

Quanto tempo hai dedicato alla ricerca delle diverse culture africane rappresentate nel libro? Come hai assicurato una rappresentazione autentica e rispettosa di queste culture?

Nonostante il mio lavoro, non sono mai stata nei luoghi da me descritti (Senegal, Benin, Gambia, Nigeria, Mali, Niger e Libia), pertanto mi sono dovuta documentare su internet. Non nascondo che ho usato Google Maps per alcuni passaggi, senza il quale sarebbe stato impossibile avere un quadro più ampio delle varie aree geografiche. Inoltre, molto utili sono stati i reportage di viaggiatori e giornalisti su Youtube, i quali mi hanno permesso di conoscere usanze e tradizioni particolari. Questa ricerca mi ha impegnato per circa un mese ed è stata molto appassionante, dal momento che amo scoprire culture e Paesi nuovi.

Qual è il messaggio principale che vuoi trasmettere ai tuoi lettori attraverso la storia di questi giovani africani in cerca di una nuova vita in Europa?

Il luogo dove nasciamo è un terno al lotto, una monetina lanciata. Non ci rendiamo conto di quanto siamo fortunati ad essere nati da una parte di mondo piuttosto che in un’altra. Vorrei che il lettore si immedesimasse nei personaggi dei ragazzi, stranieri ed italiani, per capire quanto alcune dinamiche ed emozioni vadano oltre il colore della pelle e la cultura. Ci sono esperienze che sono trasversali alla nazionalità. In parole povere, siamo tutti parte della razza umana, anche se educazione, tradizioni e usanze diverse spesso ci allontanano, dobbiamo tentare di porre al centro di tutto il cuore ed i sentimenti che ci accomunano.

Quali sono state le maggiori sfide che hai incontrato nel narrare le storie intrecciate di personaggi così diversi tra loro?

Non è stato difficile creare l’intreccio della trama. Ho una laurea triennale in Storia e, se ho iniziato a scrivere, è proprio grazie ad un complimento ricevuto dalla mia ex docente (lei che era temutissima e parca di lodi): per merito suo ho imparato a fare schemi. Per il mio romanzo ho scarabocchiato uno schema, proprio come a suo tempo ho fatto per la tesi. La sfida maggiore, semmai, è stata conciliare il tempo della scrittura con gli impegni di lavoro e familiari. All’epoca mio figlio aveva quattro anni. Oggi è ancora più complicato perché ho due figli, ed il più piccolo ha solo tredici mesi. “Biglietto solo andata” è stato scritto nell’arco di circa quattro mesi, quando mio figlio maggiore era all’asilo.

Ci sono autori o opere letterarie che hanno influenzato il tuo stile di scrittura o la struttura della narrazione in “Biglietto solo andata”?

Ad essere onesta, sebbene fin dalla tenera età sia stata un’avida lettrice, non posso dire che ci sia un’opera letteraria o un autore dal quale abbia tratto ispirazione. I miei generi preferiti sono i romanzi di avventura ed i gialli, ma “Biglietto solo andata”, seppur possa essere considerato una storia avventurosa, è di difficile catalogazione. L’aspetto psicologico dei vari personaggi emerge in maniera evidente, l’intreccio si presenta articolato, seppur scorrevole.

Posso menzionare tanti autori che amo, molto diversi tra loro, probabilmente hanno lasciato delle tracce nella mia mente in modo del tutto inconsapevole. Per citarne solo alcuni: Tolstoj, Ikeda, Jane Austen, Agatha Christie, Terzani, De Luca, Allende, De Saint-Exupéry, Carlo e Primo Levi. E come poeti: Neruda, Baudelaire, Montale, Ungaretti, Shakespeare, Merini, Arminio, Tagore, Dickinson

In che modo il tuo libro affronta la complessità e le sfide della migrazione, specialmente nel contesto dell’Europa moderna?

Oltre al viaggio per raggiungere il Vecchio Continente, che descrivo nella parte iniziale del racconto di ogni personaggio, spiego chiaramente come avviene l’integrazione all’interno di un progetto ministeriale e quali siano i problemi più rilevanti riscontrati dai ragazzi extracomunitari. La maggioranza di loro desidera attraversare il confine italiano per raggiungere il Nord Europa, perché sono consapevoli che loro connazionali hanno avuto maggiori chance in altri Paesi.

Nel romanzo vengono chiaramente narrate le difficoltà di questi giovani nell’approcciarsi ad una cultura tanto diversa dalla loro.

Ognuno di loro mette in atto strategie diverse, in base alle esperienze personali accumulate nel corso della propria esistenza. In alcuni passaggi, si evince anche come l’Italia da sola non sia in grado di affrontare una migrazione tanto massiccia e di come sia assolutamente necessario un intervento da parte della politica europea.

Come hai sviluppato l’arco narrativo di ciascun personaggio? Ci sono stati cambiamenti significativi nei loro caratteri o nelle loro storie durante il processo di scrittura?

L’arco narrativo di ogni singolo protagonista segue un filo logico ben definito ed i fatti sono quasi sempre in ordine cronologico. I personaggi si sono sviluppati “strada facendo”, mi hanno tenuto compagnia come se fossero persone reali. Quasi in una sorta di trance, li osservavo e loro dialogavano con me come vecchi amici. Soprattutto la figlia di Naomi, Grace Amara, mi ha tormentato per diverso tempo. Non nego che mi ricordava una bambina che ho realmente conosciuto e che non sono stata in grado di “salvare”. Le storie di ognuno di loro sono uscite dalla mia penna come per magia, quasi senza sforzo.

È stata una sorta di catarsi: dopo un periodo difficile, tutte le emozioni che avevo dentro, sono scaturite dalla mia mente come un fiume in piena. Tutto era chiaro, l’unico dubbio è stato proprio sul destino di questa bambina. In seguito, ho deciso che sarebbe stata proprio lei a veicolare il messaggio più importante del libro: la speranza e la forza non devono abbandonarci mai, neppure nelle situazioni che sembrano senza via d’uscita.

Quali emozioni speravi di evocare nei tuoi lettori attraverso le vicende di questi personaggi?

Come dicevo, il mio intento è sollecitare le persone a lottare per ciò in cui credono. Anche se può sembrare impossibile. Ogni sogno nasconde una sfida. Ogni sfida è un’opportunità per crescere e per imparare ad amare e ad amarsi.

Come descriveresti il processo di integrazione culturale e sociale dei personaggi africani con quelli italiani nel libro?

L’integrazione è molto complicata ma non impossibile. Come tutte le cose, dipende molto dalla volontà di ogni singolo individuo. Nel libro, come nella realtà, per le donne single con i bambini è veramente arduo. Non solo perché culturalmente non sono preparate ad affrontare la vita senza gli uomini, ma anche perché in Italia non esistono dei servizi adeguati, che permettano loro di svolgere determinati turni di lavoro potendo lasciare i bambini in luoghi sicuri.

Inoltre, c’è molta diffidenza da parte degli africani nei confronti dei ragazzi italiani che cercano di aiutarli. Prevale la sensazione secondo la quale i “bianchi” hanno sempre sfruttato l’Africa, fin dal periodo della colonizzazione, e tutt’ora ne traggono benefici. Questo comporta un atteggiamento di rassegnazione e di passività, ci si aspetta di ricevere un aiuto perché è “dovuto”. Difficile per i giovani italiani far capire loro quanto sia fondamentale collaborare ed imparare, ad esempio, un nuovo mestiere. Rimboccarsi le maniche e ripartire da zero: non tutti se la sentono, non tutti sono realmente pronti. Alcuni sperano nella bacchetta magica, risolutrice di ogni avversità, poiché ritengono di aver già sofferto abbastanza per raggiungere l’Europa. Invece, ahimè, arrivati in Italia inizia un’altra avventura…

Potresti parlare dell’uso di un linguaggio fortemente evocativo nel tuo libro e di come questo si lega alle tue origini poetiche?

La poesia fa parte di me, in ogni fibra del mio essere. È il mio modo di osservare il mondo fin da bambina. ? Lacrime più calde della sabbia arroventata avevano solcato la sua pelle liscia. Lacrime sprecate al vento che faceva piroettare granelli nel vano tentativo di offuscare il sole. Gocce d’acqua che non avrebbero donato alcun sollievo alla terra, e non avrebbero prodotto neanche miseri germogli isolati. Lacrime che semplicemente si univano ai misteriosi suoni creati dal vento, un canto disperato di berbere in lutto”.

Questo breve passaggio per far capire cosa si intenda per linguaggio evocativo. Non è facile spiegarlo, credo che tutte le persone sensibili abbiano un particolare rapporto con il mondo naturale e, di conseguenza, venga spontaneo usare un linguaggio poetico anche in narrativa.

Quali sono state le reazioni più significative o sorprendenti dei lettori finora?

I complimenti più belli sono arrivati da sconosciuti che hanno apprezzato moltissimo la psicologia dei vari personaggi e l’intreccio della trama. Mi piacerebbe tantissimo che il mio libro fosse letto dal giornalista e scrittore Saverio Tommasi, perché affrontiamo lo stesso argomento seppur in modo diverso. Voglio ricordare che il mio romanzo è uscito nel 2020, durante il covid; pertanto, all’epoca non ho avuto la possibilità di presentarlo, mentre, successivamente, problemi di salute mi hanno tenuto lontana da altri eventi. Adesso vorrei tanto far conoscere il mio lavoro.

Hai in programma di scrivere un seguito di “Biglietto solo andata” o di esplorare ulteriormente le vite dei personaggi in opere future?

Non ho in programma un seguito del romanzo. Prossimamente, mi piacerebbe pubblicare un libro di poesie che è già praticamente quasi pronto. L’argomento, però, mi sta particolarmente a cuore. Vorrei scrivere un libro per bambini, perché è dalla prima infanzia che può nascere una reale integrazione, inoltre, trovo affascinante esplorare culture e tradizioni lontane dalle nostre e farle conoscere ai più piccoli. Confesso che ho già iniziato a scrivere una storia che racconta di un bambino che si chiama Giulio (mio figlio più grande si chiama così, e ha preteso che il protagonista avesse il suo nome). 

Per il momento vi invito a leggere “Biglietto solo andata”, spero di ricevere tanti commenti. Lo trovate sul sito dell’editore (CTL Edizioni), Feltrinelli, IBS e su Amazon al link https://www.amazon.it/Biglietto-solo-andata-AlessandraSolina/dp/8833872033

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